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In
che modo possiamo definire la sofferenza?
Questo
sostantivo femminile, deriva dal verbo soffrire che
ha la sua genesi nella lingua latina, sia come Sufferre
(Offrire) che Sufferire (portare
“sotto”).
Quindi,
ci troviamo di fronte alla “condizione di offrire la
propria capacità di resistenza di fronte a qualcosa di
penoso”.
Se
riflettiamo sul valore di questi termini, possiamo concludere che, la
capacità di soffrire è propria di chi “vale
qualcosa” perchè è capace di offrire “a se
stesso o a chi osserva” (affinchè impari dall’esempio)
qualcosa di sé nobilitata da situazioni estreme.
Cosa
produce, nel nostro mondo interno, la sofferenza?
Essendo
una “attività perturbata dell’animo in
conseguenza di squilibri (o disequilibri) da mancato appagamento”,
serve come elemento prorompente in grado di smuovere stati
d’animo e aiutare la riflessione. Infatti, fin dall’antichità,
la si riteneva “l’unico mezzo valido ed efficiente, in
grado di rompere il sonno dello spirito e della ragione”.
Come
andrebbe vissuta la sofferenza?
Con
disciplinata e misurata dignità intendendo, con tale termine,
non tanto il rispetto che gli altri ci mostrano (che finirebbe per
attivare il meccanismo dell’orgoglio) quanto, piuttosto, il
rispetto che portiamo nei nostri confronti, per ciò che
sappiamo di valere (a prescindere dal giudizio altrui) e che pone le
basi per una corretta e solida autostima.
"La
dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza
di meritarli" (Aristotele).
In
pratica, ognuno di noi porta, dentro, una parte del sé
bambino, quello, per intenderci, che stende le manine per chiedere un
abbraccio... e si strugge quando si sente non accettato per come
vorrebbe. È qualcosa che ti segna, per un verso o per un
altro, per tutta la vita.
Siccome
anche l’altro, quello da cui vorresti l’abbraccio, non è
più tuo padre o tua madre ma, semmai, una persona diversa da
te ma che, come te, è in cerca di un incontro accogliente,
finisce che diventiamo isole contro cui si infrange un mare in
tempesta, la cui nebbia salina ci impedisce di vederci come individui
in cerca di un sorriso.
La
verità è che molti soffrono ma non tutti sono capaci di
affrontare questo stato d’animo appieno e con dignità.
"Felicità e sofferenza sono figli della stessa
passione" (massima buddista).
In
che rapporto si pone la sofferenza con la malinconia e la nostalgia?
Come
è facile ricavare dai dizionari della lingua italiana, la
nostalgia deriva dal ricordo di qualcosa di bello che abbiamo vissuto
e che vorremmo tornasse indietro, la malinconia, invece,
contraddistingue lo stato d’animo di colui che avrebbe voluto
che qualcosa accadesse... ma così non è stato. In
entrambe la variabili, esiste quella perturbazione emotiva che porta
a soffrire.
In
sostanza, come si dovrebbe affrontare la sofferenza?
Cercando
la solitudine e alternandola a momenti di condivisione e
confronto con persone amiche ci dà la possibilità di
“costringere” la parti migliori di noi (quelle che si
adoperano per assemblare idee atte alla costruzione di strategie
capaci di risolvere anche i problemi più grandi.
Ricordandoci
di noi stessi e del valore che dovremmo (o che avremmo dovuto)
avere, ci porterà a dimensionare i “fatti” della
nostra vita per cercare quello che è (veramente) più
importante in maniera da assecondare la nostra interiorità
inconsapevole nella ricostruzione delle nostre motivazioni che
rigenera la voglia di vivere.
"Sopportare
la vita rimane, tutto sommato, il primo dovere degli esseri umani"
(Sigmund Freud)
E
il secondo?
Darle
un senso, per poterla godere.
Giorgio
Marchese – Medico
Psicoterapeuta (4 dicembre 2017)
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