Per ’valore legale’ dei titoli di studio s’intende l’idoneità degli stessi a produrre
dati effetti giuridici (proseguimento degli studi, partecipazione a concorsi, accesso agli esami di abilitazione all’esercizio professioniale, ecc.).
Nel nostro ordinamento si ravvisano una serie di disposizioni normative dirette a proteggere
il valore legale dei titoli di studio, innanzitutto il Regio Decreto n.1592/1933, il cui articolo167 stabilisce che le Università e gli Istituti superiori conferiscono, in nome della legge, le lauree e i diplomi determinati
secondo i relativi ordinamenti didattici. Inoltre, ai sensi dell’articolo 172, "Le lauree e i diplomi conferiti dalle università e dagli istituti superiori hanno esclusivamente valore di qualifiche accademiche.
L’abilitazione all’esercizio professionale è conferita in seguito ad esami di Stato,
cui sono ammessi soltanto coloro che:
a ) abbiano conseguito presso università o istituti superiori la laurea o il diploma
corrispondente;
b ) abbiano superato, nel corso degli studi pel conseguimento del detto titolo, gli esami di
profitto nelle discipline che sono determinate per regolamento."
E’ vietata, altresì, l’attribuzione delle qualifiche accademiche
di dottore, compresa quella honoris causa, delle qualifiche di carattere professionale, della qualifica di libero docente, che "possono essere conferite soltanto con le modalità e nei casi indicati dalla legge" (art.2 Legge n.262/1958).
Riguardo ai titoli accademici conseguiti all’estero, è espressamente
stabilito che essi "non hanno valore legale" (art.170 Regio Decreto n.1592/1933 ), "salvo il caso di legge speciale".
Il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero
e dei titoli di studio stranieri, per l’accesso all’istruzione superiore, per il proseguimento degli studi universitari ed il conseguimento dei titoli universitari italiani, spetta alle Università ed agli Istituti di
istruzione universitaria "che la esercitano nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia", secondo quanto disposto dall’articolo
2 della Legge n.148/2002, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997 sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea.
Un titolo di studio conseguito all’estero ha valore solo se ottiene il riconoscimento dalle autorità italiane competenti. Per quanto riguarda i titoli accademici, i cittadini italiani o stranieri in possesso di titolo accademico conseguito all’estero, possono chiederne il riconoscimento, ai fini del proseguimento degli
studi e del conseguimento dei titoli accademici, con il corrispondente titolo accademico italiano, presentando apposita domanda presso una Università Italiana che, salvi gli accordi internazionali in materia, provvederà
all’eventuale riconoscimento totale o parziale del titolo, nell’ambito della propria autonomia e in conformità alla normativa vigente.
<<Il potere delle università in materia di riconoscimento
di diplomi universitari conseguiti all’estero deve essere esercitato, ex art. 2 l. 11 luglio 2002 n. 148, ed ai fini dello svolgimento di specifiche valutazioni di merito attinenti alla corrispondenza scientifica, a prescindere
dall’acquisizione della dichiarazione di valore resa, per consuetudine, dall’Autorità diplomatica territorialmente competente, trattandosi di valutazione comparativa di carattere prettamente scientifico tra programmi
d’esame di corsi di laurea svolti all’estero e quelli relativi a corsi di laurea istituiti in Italia.>> (TAR Abruzzo sez. I, sentenza n.199/2007)
Peraltro, per istituzioni universitarie, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del decreto legge n.580
del 1° ottobre 1973, convertito in Legge n.766/1973, s’intendono solo le università statali e quelle non statali riconosciute per rilasciare titoli aventi valore legale a norma delle disposizioni di legge, ed è
vietato l’impiego della denominazione “Università” ad istituti che non abbiano ricevuto tale qualifica dallo Stato.
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca esercita un’attività di vigilanza
sulle istituzioni italiane e straniere non riconosciute, che conferiscono illegalmente titoli accademici, e, oltre alle necessarie segnalazioni all’autorità giudiziaria, provvede periodicamente a rendere noti, con proprie
circolari, elenchi di istituzioni non accreditate, allo scopo di prevenire eventuali contaminazioni nelle procedure di riconoscimento dei titoli accademici esteri da parte delle università italiane. In particolare,
il Ministero, già con la circolare 16.6.1993-1115, ha invitato i Rettori delle Università a non avere rapporti con una serie di istituzioni private non accreditate, con sedi in Italia e all’estero (tra le tante,
Associazione per gli interscambi Italia-Usa; Ateneo di studi superiori pro-pace-Torino; Costantinian University; Institut technique superieur-Svizzera; Sophia University of Rome; St. Gregory College; Università libera
e privata di Herisau-Svizzera, ecc.), che, con messaggi pubblicitari ingannevoli, promuovono corsi volti al conseguimento di titoli di cui si asserisce il riconoscimento o la riconoscibilità in Italia.
Il riconoscimento da parte delle competenti autorità italiane è necessario
anche per titoli professionali conseguiti all’estero, rispetto alle professioni regolamentate, e tale previsione non si pone in contrasto con il principio della libera circolazione delle persone e prestazioni dei servizi all’interno
della UE, come precisato in più occasioni dalla giurisprudenza. <<In materia di riconoscimento dei diplomi, il principio fondamentale della libera circolazione delle persone e prestazioni dei servizi - il quale
si estrinseca nel diritto dei cittadini degli Stati membri di esercitare una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito la loro qualifica professionale - non ha natura incondizionata, trovando
un limite, nel sistema delineato dalla Direttiva 89/48, nel potere dello Stato ospitante di verificare se le qualifiche altrove acquisite corrispondono a quelle prescritte in sede nazionale per l’esercizio di una professione
specificatamente disciplinata.>> (Consiglio di Stato, sentenza n.2111/2009). La Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo, sull’uso del titolo professionale, all’art.52 dispone che "Se uno Stato membro ospitante
regolamenta l’uso del titolo professionale relativo a un’attività della professione in questione, i cittadini di altri Stati membri autorizzati a esercitare la professione regolamentata in base al titolo III usano il
titolo professionale dello Stato membro ospitante che in esso corrisponde a tale professione e ne usano l’eventuale abbreviazione.
Se nello Stato membro ospitante una professione è regolamentata da un’associazione
o organizzazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, i cittadini degli Stati membri possono usare il titolo professionale da essa rilasciato, o la sua abbreviazione, solo se possono provare di esserne membri.
Se l’associazione o l’organizzazione subordina l’acquisizione della qualità
di membro a determinati requisiti essa può farlo solo alle condizioni previste dalla presente direttiva, nei confronti dei cittadini di altri Stati membri che possiedano qualifiche professionali".
In conclusione, solo quando il titolo straniero sia stato riconosciuto
in Italia, chi ne è in possesso ha il diritto di utilizzare sia il titolo accademico o professionale italiano, sia quello straniero nella lingua originaria.
Erminia Acri-Avvocato
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