La società di oggi è fortemente caratterizzata da famiglie disgregate, liquide e polimorfe che, non offrendo sponda sicura alla personalità dell’adolescente, la incidono in maniera disarmonica e discontinua, creando così un disagio individuale e sociale che, a sua volta, mina alla base la futura e nascente società.
I sintomi di questo malessere giovanile sono le espressioni disordinate della personalità: depressione, bullismo, disordini dell’alimentazione, aggressività.
Connotazioni, queste, di un profondo distacco dalla realtà che viene o subita o rifiutata, non disponendo delle necessarie chiavi interpretative. Chiavi, sia chiaro, non donate, consapevolmente o inconsapevolmente, proprio dalle famiglie di origine o appartenenza.
La scuola, trampolino di lancio obbligatorio dal guscio familiare alla trincea sociale, è il detonatore, ormai, in cui esplodono tutte queste contraddizioni esistenziali e pedagogiche e la cronaca di questi ultimi anni segnala, in maniera puntuale e indifferibile, il malessere pervasivo di soggetti sempre più bisognosi di aiuto e impreparati ad una equilibrata convivenza civile.
Diventa necessario, dunque, ri-modulare lo spazio scolastico e farlo ri-diventare luogo di vera aggregazione sociale e socializzazione regolata, mettendo in campo, da parte dei docenti una batteria di competenze socio-psico-pedagogiche in grado di arginare e contenere il disagio e il malessere dei ragazzi ma, soprattutto, di comprenderlo,parola intesa fortemente in senso etimologico: prendere con sé, addossarselo.
Questa la chiave di volta: la dislocazione del punto di vista di adulti e l’allargamento dello spazio di accoglienza, dialogo e comprensione dell’altro, favorendo la dimensione dell’ascolto e dell’empatia, e dunque, della accettazione integrale dell’altrui personalità.
Compito non facile da attuare ma ormai inderogabile, in un contesto sociale e relazionale fortemente compromesso.
Non bisogna aver paura di affermare che attualmente la maggior parte dei docenti si percepisce sempre più sbandata nella propria identità professionale e umana e, di contro, si registra una condotta dei ragazzi in classe è sempre più disattenta e superficiale.
Sempre più in crescita sono i DDAI, disturbi da deficit di attenzione/ iperattività ; sempre più, i ragazzi sono immersi in realtà virtuali con i cosiddetti - mezzi di distrazione di massa - pc, cellulare, palmare, ipod, ecc., e sempre più i ragazzi sono insoddisfatti da metodi di insegnamenti che non considerano appropriati ai propri bisogni.
Il tempo che essi vivono è un tempo espropriato, frammentato in mille attività parallele - il multitasking - sincronizzato su ritmi frenetici e gestione simultanea di molte attività e flussi di informazione.
Come intercettare e incanalare queste nuove dimensioni esistenziali per una sana e robusta crescita delle nuove generazioni?
E’ urgente, dunque, spianare la strada, per lo sviluppo di un dialogo, basato sui criteri della reciproca fiducia, della gratificazione e dell’auto-gratificazione.
Molti studi ormai indicano proprio nell’autostima e nella fiducia in se stessi la prima qualità per riuscire bene a scuola. Per ottenere buoni risultati, oltre alle capacità cognitive, servono l’adattabilità, la socievolezza, la riflessività e la capacità di perseverare per raggiungere gli obiettivi.
A questo proposito si dovrebbe insegnare a scuola a sviluppare maggiormente le capacità emozionali, per rimuovere alle radici le cause di molti e possibili squilibri dell’età evolutiva e governare le emozioni per guidarle nelle direzioni più vantaggiose.
Dunque, ricercare le condizioni comunicative ottimali per far sentire l’altro elemento attivo e parte integrante del gruppo, creando sempre più situazioni motivanti allo studio e al lavoro in classe.
Prof. Alessandro Citro