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Ma Dio... quando arriva?
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

28 settembre 2013

Accade, di tanto in tanto, di convincersi di aver raggiunto il proprio livello di saturazione mentale. Succede, quindi, di reagire in maniera incongrua e veemente, di fronte a spettacoli osceni e tristi come quelli offerti dalla nostra classe politica. Ma, a ben riflettere, a volte anche un rubinetto che gocciola, nel cuore della notte, può renderci particolarmente "incandescenti". Toc, toc, che rabbia! In simili circostanze, dovremmo porci domande "umanitariamente interessanti". Ad esempio, abbiamo mai pensato che i tanti poveri cristi (nel senso più laico del termine) che tentano la traversata del tratto di mare che ci separa dalla Libia, impiegano un anno quattro mesi e ventuno giorni per racimolare il danaro necessario a pagare il viaggio che tanti loro predecessori (gli schiavi portati nella Sierra Leone, per lo più) "ottenevano" gratis? Ho letto, qualche tempo fa, di Titti e Hadengai. Unici naufraghi (insieme ad altri tre sventurati) di 78 disperati imbarcati e turlupinati da mercanti senza scrupoli, su un gommone che avrebbe potuto contenere non più di venti persone. Ho provato, istantaneamente, un senso di freddo nel centro della mia anima dove, forse, si incrociano sentimenti contrastanti, rispetto ai fatti della vita. "Adei", madre, "Sto andando". "Amlak", Dio, "Mi hai aiutato". Questo, probabilmente, avranno continuato a ripetersi mentre scendeva la notte, in mezzo al mare... PER LEGGERE TUTTO IL TESTO, CLICCARE SUL TITOLO.


A metà del secondo giorno, quando si saranno convinti, magari, di essere quasi arrivati, la barca si ferma. Non c’è più benzina. Non c’è alcun rumore. Tranne quello delle onde. Di giorno il caldo e la salsedine. Di notte il freddo e la paura. E poi l’acqua finisce. E poi anche l’ultima mollica di pane se ne va. Non c’è una bussola.

Ma a cosa servirebbe, con il gommone trasportato dalle onde, spinto dalla corrente, e nessuno che può fare niente? Finiscono i fiammiferi, non si vede più niente.

Tutti a guardare il mare.

Cari lettori, proviamo, per un attimo a spogliarci dei nostri comodi panni e, anche se la stagione comincia a non essere più propizia, tuffiamoci in mare e proviamo a raggiungere, a nuoto, quel natante, così, giusto per assaggiare cosa si prova, quando a cena hai solo sale e dolore. Saranno alla quarta notte, oramai. Spuntano delle luci, a sinistra, poi se ne vanno...

Era una nave? Era un paese?

Nei film americani, gli eroi, anche nelle circostanze più avverse, non vanno mai in bagno. Ci avete fatto caso? Qui le cose vanno diversamente. All’inizio ci si vergogna anche per i bisogni più elementari, fingi di fare un bagno attaccato con una mano alla corda, chiedi per favore di rallentare, e fai quel che devi, in mare.

Poi man mano che cresce l’ansia e anche la disperazione, ti lasci andare anche in quello. Se il settimo giorno Dio, dopo aver creato il Mondo, ha sentito il bisogno di riposarsi, sul gommone della morte, un moderno Amistad (la nave che nel 1839, trasportava schiavi e buttava a mare il soprappeso umano... ancora "vivo"!) chiude gli occhi Haddish, che ha vent’anni.

Ed è solo il primo.

"E’ arrivato - dice, all’alba, Ghenè - noi siamo in viaggio e lui è arrivato". Mi piace immaginare che Yassief si sia portato in barca una Bibbia. Allora, forse, è arrivato il momento di aprirla e di leggere i Salmi: "Quando ti invoco rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato, pietà di me, ascolta la mia preghiera".

Muore qualcuno ogni giorno, ormai, e il numero varia.

Uno, poi tre, quindi cinque, un giorno quattordici. E si va avanti così. Dicono che i primi a morire sono quelli che hanno bevuto l’acqua di mare. Titti non l’ha bevuta solo per il gusto insopportabile: si bagna le labbra continuamente. Poi, Hadengai ha l’idea di prendere un bidone vuoto di benzina, tagliarlo a metà, lavare bene la base e metterla sul fondo della barca, dove i morti hanno aperto uno spazio. Spiega che dovranno raccogliere lì la loro orina, per poi berla quando la sete diventa irresistibile: pochi sorsi, ma possono permettere di sopravvivere.

Lo fanno, anche le donne, però di notte.

Dopo quindici giorni, appare una nave in lontananza. Sembra piccolissima, ma tutti la vedono. Li guarda e se ne va. Qualcuno che non vuole problemi. Nel frattempo, per i naufraghi, non c’è la sceneggiatura di "Cast Away", manca Zemeckis che consente a Tom Hanks di solcare l’oceano con una zattera di fortuna. Qui c’è un regista più "grande": Dio, appunto. Ma molto meno fantasioso.

Cari lettori, cosa proveremmo, noi, arrivati a questo punto?

L’acqua è un’ossessione e, intanto, pensi al pane, al riso, alla carne, scambi i frammenti di legno per briciole, sai che è un inganno ma te li metti in bocca. Senti le forze che vanno via, vedi buttare a mare i cadaveri e non t’importa più.

"Ora, quando arriva la morte butteranno giù anche me. Spero che mi chiudano gli occhi". Ti è rimasto solo questo, da pensare.

Non sai i nomi dei tuoi compagni, conosci solo le facce. Al mattino ne cerchi una e non la vedi più. Non sai più dove finisce l’incubo e comincia la realtà. Però c’è un vantaggio: ora allunghi le gambe sul fondo, i morti hanno lasciato spazio ai vivi.

Persa l’Italia, il gommone adesso ha di nuovo uno scopo: diventa un viaggio per la morte, e va bene così! Se abbiamo resistito, potremo accorgerci che, la diciassettesima notte, forse, Titti si separa da tutto e raduna tutto, la madre e Dio, il cielo, il mare e la morte, "Adei, Amlak, semai, bahari, meut". Rivede suo padre accovacciato, che fuma contro il muro la sera. Si accorge che la sua lingua, il tigrigno, non ha la parola "aiuto".

Ancora un giorno, poi una notte. Forse. Poi. Tutto sarà finito.

E invece arrivano degli uomini bianchi, di bianco vestiti. Motovedette italiane con, a bordo, Uomini che non passano il tempo a blaterare: pattugliano e aiutano.

Noi Italiani siamo anche questo!

E a bordo del gommone? Cinque su settantotto. Questo è ciò che è rimasto. Il biglietto di rimpatrio, visto che l’Unione Europea, spesso adottato la politica del respingimento, questa volta costerà poco. Forse niente: con molta probabilità otterranno l’asilo politico. A questo punto potremmo parlare della necessità di aiutare tanti disperati direttamente sul posto, sul luogo d’origine. Potremmo discettare di quante risorse si sprecano, in nome di un consumismo inutile e distruttivo... preferiamo ricordare un vecchio adagio che recita, pressappoco così: "Ognuno per sé ma Dio per tutti"

Si va bé... Ma quando?

 

 

P.S. questa notte, quando il rubinetto gocciolerà ancora, all’dea che tanti assetati farebbero volentieri a cambio con noi, saremo ancora di cattivo umore? E degli schiamazzi di questa sottospecie parassitaria che si fa chiamare "Politica" e che pretende un mantenimento sine die, cosa ne facciamo? Dopo esserci addentrati nelle sofferenze del più angusto dei gironi infernali... lasciamola perdere: è solo il tramestio di piccole marionette buone solo come legna da ardere. O come cibo, per operose termiti.

 

Giorgio Marchese (Medico Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"

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