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Le Fiabe.
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

25 aprile 2013






Tra passato e presente.


C’era una volta...un principe; o, forse, era un re...; ma, no! Si trattava di un mago...a me è rimasto il ricordo di una bimba dai riccioli d’oro e dagli occhi color cielo...

Eh sì! Una volta, tanti anni fa, prima dell’avvento del piccolo schermo, il mondo della fanciullezza era popolato da una miriade di personaggi fiabeschi; era il primo volo che i bimbi realizzavano con l’impeto della propria fantasia; ed i miti omerici si rinnovavano.

E nelle lunghe serate invernali, il nonno ci raccontava di antiche fole, nella stanza adiacente, la mamma, cullando il tenero figlioletto tra le braccia, lo avviava, dolcemente, per i sentieri luminosi della irrealtà, ed il sonno s’insinuava, pian-piano, tra le tenere palbebre, mentre lo sguardo vagava per cieli infiniti.

Chi di noi, adulti, ormai, e malinconici, non assapora, con gli occhi socchiusi e sospesi nel cielo azzurro della fanciullezza, la visione del castello incantato, o l’ardito cavaliere che affronta fiammeggianti draghi, o si rivede nel tenero "Pollicino" ma si commuove, ancora per la "Piccola fiammiferaia"?

Andersen, Perrault, i fratelli Grimm, La Fontaine, - tanto per citare i favolisti più letti ( senza far torto ad Esopo, a Fedro o a Trilussa) - sono stati i benefattori di quella tenera età nella quale abbiamo trasvolato pianure infinite, scalato algide vette, o siamo penetrati in castelli incantati o ci siamo involati su bianchi ippogrifi.

E nell’impatto con forze misteriose, con orride streghe, vagando fra gli antri fumosi di alchimistici maghi o per splendidi giardini di melarance, alla fine del racconto, provvidenzialmente, scendeva un "deus ex machina" a salvare l’eroe di turno ( originalissima soluzione dell’antico teatro greco ), mentre un sospiro di sollievo si dipingeva sui nostri volti, tentennanti tra stupori e timori, allorché arrivava quel trionfante finale della favola, che ci riconciliava con la realtà: quello dell’..."E vissero felici e contenti".

Era, questa chiosa, l’inno alla vita, l’affermarsi del bene sul male, l’assimilazione coscienziale del "neminem laedere" o del "suum cuique tribuere"; insomma, di quell’etica comportamentale che sarebbe diventata la guida più convincente del nostro vivere.

Oggi, quel mondo è stato travolto, disperso e sotterrato dal "Signore degli anelli" o da "Harry Potter" dalle guerre stellari o dalle "war-games" :

Forse il cinema degli anni cinquanta e sessanta ha cercato la sopravvivenza della fiaba, ma ricorrendo alla favolistica orientale delle "Mille e una notte"; e così, Aladino, Ali Babà, Sinbad il marinaio sono subentrati agli eroi del mondo occidentale di quel tempo, al coraggio del super- eroe Nembo Kid, all’agilità sovrumana dell’ "Uomo ragno ", questi ultimi degni eredi dei loro antenati che rispondevano ai nomi di "Mandrake" o dell’ "Uomo mascherato" o di "Cino e Franco" o di "Dick Fulmine".

Poi, la fumettistica e la televisione dell’ "horror" si è impadronita di "Criminal" e la diga eretta dalla letteratura per ragazzi, contro la violenza e le barbarie più cruenti, ha ceduto e come risultato, la cronaca nera dei nostri tempi si riempie, con raccapriccio, di violenza impensabile, di figli che uccidono i genitori, di madri snaturate che sopprimono i vagiti dei loro neonati nei cassonetti dei rifiuti, o, di giovani che si scannano o si sparano, rintronati dalla quella droga chiamata "Ecstasy " e dai decibel assordanti delle discoteche, o più spesso, concludono la loro vita senza più ideali, con uno schianto mortale alle prime luci di livide albe.

Forse, anzi, senza forse, la frenetica vita del nostro tempo ha profanato e sconvolto i ritmi lenti ed armoniosi delle antiche famiglie patriarcali; di quelle famiglie i cui componenti si accostavano, con religiosa ritualità, alla mensa quotidiana; quelle famiglie, oggi si sono ridotte a nuclei atomizzati, che hanno in comune un disfatto e gelido giaciglio ed un ancor più freddo e frettoloso saluto mattutino, a volte; quasi inesistente, la sera.

Eppure, l’altra sera, pervaso da un’intensa commozione, ho rivisto ed ascoltato, in televisione il racconto della vita sacra e pastorale di Sant’Angelo Roncalli, dell’umile Papa Giovanni XXIII, di quel sant’uomo che, in una luminosa serata romana, allietata dallo splendore di una luna che solo Roma sa offrire, si congedava dalla marea di fedeli che affollava piazza S.Pietro con quel messaggio di amore paterno rivolto a tutti i genitori del mondo: "...Questa sera, rientrando a casa, date una carezza ai vostri figli e dite loro. Questa è la carezza del Papa !"

E se provassimo ad accarezzare e stringere sul cuore i nostri figli, di qualunque età essi siano, e conciliare, così, i loro e i nostri sonni con la favole bella ed antica, per continuare quel messaggio d’amore che ha allietato la nostra fanciullezza ?

 

Giuseppe Chiaia( preside - (26 dicembre 2009)

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